Accesso civico e FOIA: cambiamenti reali o solo nominali?

I principi di trasparenza sull’attività amministrativa sono stati introdotti nell’ordinamento dalla L. 241/90. La disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi, ivi contenuta, è stata successivamente regolata dal Dpr 184/2006.

Ad oggi la L. 241/90 ha ancora una posizione di centralità rispetto all’agire amministrativo: lo possiamo dedurre, banalmente, dal numero di provvedimenti – circa trentaquattro – che dalla sua istituzione sono intervenuti con modifiche al testo.

L’interesse sull’accesso ai documenti amministrativi della Pubblica Amministrazione è da ricondursi sempre alle stesse casistiche: si tratta per la maggior parte di richieste effettuate da liberi professionisti (in particolare legali o tecnici) muniti di delega/mandato e inerenti principalmente alle attività del commercio, di polizia municipale, d’anagrafe.

L’ambito di esercizio di questo diritto è circoscritto sia sotto il profilo soggettivo (essendo rivolto a tutela di posizioni sostanziali, tanto di diritto soggettivo quanto di interesse legittimo) sia sotto quello oggettivo (l’art. 24 della L. 241/90 preclude espressamente l’accesso che si traduca come “controllo generalizzato sull’attività amministrativa”).

Il D.lgs. 33/2013 sulla Trasparenza Amministrativa ha allargato il concetto di accessibilità introducendo la fattispecie dell’”accesso civico“, consentendo di fatto forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione tramite accesso informale a documenti, informazioni o dati oggetto di pubblicazione obbligatoria sui siti istituzionali e che non siano stati ancora pubblicati.

L’accesso civico si è dimostrato non adeguato alle esigenze degli interlocutori della Pubblica amministrazione per una serie di concause:

 – l’interesse oggettivo sui documenti a pubblicazione obbligatoria è residuo rispetto alle richieste di accesso agli atti, come lo dimostrano le casistiche analizzate;

– l’istituto e le modalità per esercitarlo sono “pubblicate” (o meglio “nascoste”, ma così indica la normativa sulla Trasparenza) in una sezione di “Amministrazione Trasparente” dei siti istituzionali;

– per poter esercitare il diritto d’accesso civico l’interessato deve conoscere molto bene la normativa sulla trasparenza amministrativa, ivi compresi i suoi limiti (per esempio, quali siano i documenti soggetti all’obbligo di pubblicazione o la distinzione tra quelli che devono essere pubblicati come schema oppure integralmente);

– anche l’operatore di front office della PA (è tale l’attività effettuata anche via email, spesso si tratta di uffici trasversali a tutta la PA e non specialistici) dovrebbe conoscere la normativa sulla Trasparenza nei dettagli, in modo da riconoscere la fattispecie e reindirizzare il cittadino verso l’accesso civico con meno formalità;

– la denominazione di questo procedimento lo fa confondere con “accesso agli atti”, sembrando quasi lo stesso istituto d’accesso, ma in una versione smart, in tempi di partecipazione civica.

A riprova di tanto, si consideri che tra i dati pubblicati nei siti istituzionali delle Pubbliche Amministrazioni, nella sezione Amministrazione Trasparente, tra le “Attività e procedimenti” (laddove significativi e non riportati come mero adempimento normativo), non è quasi mai riportato il dato di movimentazione dell’accesso civico, pur avendo i requisiti di procedimento amministrativo vero e proprio: nella maggioranza dei siti non è neppure censito tra i procedimenti dell’ente. Nei rari casi in cui è riportato, il valore è 0 (ovvero indica che non c’è stata nessuna richiesta di accesso civico).

Il Consiglio dei Ministri del 20 gennaio ha approvato uno schema di decreto sull’accesso ai dati e ai documenti delle pubbliche amministrazioni, attuativo della Legge n. 124/2015 – legge Madia di Riforma della Pubblica Amministrazione – che dovrebbe introdurre il “Freedom of Information Act” (Foia) nel nostro ordinamento, una nuova legge di accesso all’informazione in linea con i migliori standard europei.

Tale istituto dovrebbe estendere l’accesso anche ai quei dati non soggetti a pubblicazione obbligatoria, la cui pubblicazione però – proprio perché non obbligatoria, ma discrezionale – incontra i limiti di cui all’art. 5 bis relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti.

Quindi per i dati che non sono pubblicati occorrerà comunque istruire la pratica per verificarne i limiti (es.: anonimizzazione dei dati personali eventualmente presenti o applicazione di diritti di segreteria per le richieste di copie cartacee / su supporto informatico).

Il panorama che si prospetta ad oggi, semmai fosse approvato il decreto così come preannunciato è:

 – sopravvive il procedimento di accesso agli atti ex L. 241/90, con termine e individuazione di responsabilità immutate;

– si amplia l’ambito oggettivo dell’accesso civico (eventualmente anche la denominazione potrebbe diventare “Foia”). Per questo procedimento occorrerà di volta in volta verificare se i dati richiesti sono tra quelli soggetti a pubblicazione (obbligatoria o ulteriore a discrezione dell’ente). Semmai non lo fossero la pubblica amministrazione dovrà avviare un’istruttoria simile a quella utilizzata per l’accesso agli atti, ma con i soli limiti del 5bis (in pratica manca solo la valutazione degli aspetti di diritto soggettivo o interesse legittimo). Il cittadino dovrà comunque attendere i 30 giorni dalla richiesta (oppure i tempi ulteriori per la notifica e le deduzioni di controinteressati), oltre a pagare eventuali diritti di riproduzione delle copie.

Sarà quindi la disciplina della L. 241/90 a diventare residuale e soccombere di fronte al Foia?

L’istituto così strutturato non sembra, al pari dell’accesso civico, andare incontro alle esigenze finali degli interessati: sarebbe stato preferibile applicare una modifica sostanziale alla disciplina del diritto d’accesso, ad esempio riducendo i termini previsti dal D.pr 184/2006, eliminando il potere di differimento, l’obbligo di notifica ai controinteressati, etc. Potremmo addirittura immaginare la possibilità di accedere a qualunque dato detenuto dalla pubblica amministrazione direttamente online, prevedendo già nativamente i dati pubblici come accessibili da chiunque (es: un sistema integrato con lo Spid che consenta di mascherare direttamente i dati sensibili riconoscendo il richiedente).

Oltre ai limiti della normativa, annacquata rispetto a quella europea – di cui in tanti hanno già detto – non pare comunque che i cittadini o la pubblica amministrazione, in questo momento, siano in particolare fermento in attesa dell’introduzione di questo istituto così come prospettato: ma forse siamo ancora in tempo e il testo definitivo del Decreto potrebbe positivamente sorprenderci.

 


La sezione tematica “Amministrazione Trasparente” deve essere presente in tutti i siti e la denominazione delle sottosezioni tematiche è specificatamente indicata dalla normativa. Questo consente un semplice confronto tra diverse amministrazioni.

Tale prospettiva comporta un preciso rispetto di conformità alla gestione documentale prevista dal CAD e dalle regole tecniche attuative.

Uno dei componenti che contribuisce alla rilevazione dell’indice della percezione della corruzione è proprio il diritto d’accesso alle informazioni della PA così come prospettato –  https://www.transparency.it/il-2016-degli-attivisti-per-la-trasparenza-e-cominciato-in-salita/